Trucchi e misteri

della decima arte

Fra circensi e dintorni

Nel mondo classico le arti maggiori erano considerate sei: pittura, scultura, architettura, letteratura, musica, danza. Poi arrivarono il cinema, la radio, la televisione e il fumetto. Adesso Armando Talas, uno dei più profondi e raffinati critici circensi in circolazione, in questo articolo scritto per Il Ridotto, dipinge il circo come espressione della decima arte. A metà fra provocazione e stimolo al dibattito, tra riflessione e divertissement, fra tradizione e contemporaneità, la discussione è aperta. Le esperienze del Salieri, del Roncalli, del Knie, e del Bacanal spagnolo.

Darix Togni

Classicamente, le arti maggiori erano considerate sei: pittura, scultura, architettura, letteratura, musica e danza. Poi, nel 1921, il critico Ricciotto Canudo definì il cinema come la settima arte. L’elenco non era certo completo, e il critico francese Claude Beylie nel 1964 aggiunse giustamente anche radio-televisione e fumetto, portando l’elenco a nove. Il circo è la decima arte, almeno nelle sue espressioni più alte; non è più solo una forma d’intrattenimento divertente, anche se il divertimento resta un ingrediente essenziale. Possiamo parlare di circo d’arte, di circo che diventa un’arte a sé stante, la decima arte, perfettamente adatta per esprimere l’esperienza umana nella sua totalità.

Se il circo è definibile classicamente come un complesso mobile costituito da una serie di attrezzature smontabili, nel quale, oltre a spettacoli equestri, si propongono esibizioni di acrobati, di pagliacci, di animali ammaestrati e di bestie feroci, la decima arte comprende ogni espressione artistica appartenente a questo mondo viaggiante. Di più: comprende anche ogni forma d’arte che dal circo è migrata altrove, nelle strade e nelle piazze, nei teatri, ovunque potesse affermarsi.

Molti manichei del circo tradizionale sostengono che fuori dai rigidi canoni della tradizione non si possa parlare propriamente di circo, ma questa posizione non ha senso; soprattutto contraddice il concetto stesso di circo d’arte, poiché per sua stessa natura l’arte è mutevole, fuggevole, mai limitata a un unico orizzonte, sempre proiettata verso nuovi territori creativi.

Anzi, alcune di queste “fughe” hanno portato a sviluppi rivoluzionari, senza i quali l’arte circense non potrebbe misurarsi con le altre arti. La vera rivoluzione non è stata la creazione di spettacoli senza animali per l’emergere di nuove problematiche di natura etica; nemmeno l’introduzione di spettacoli narrativi, organici, o di quadri tematici, cioè il superamento dello spettacolo circense inteso come un susseguirsi di numeri indipendenti, anche se queste nuove modalità creative hanno favorito moltissimo il circo inteso come arte; il cambiamento determinante è avvenuto quando il circo ha iniziato a parlare dell’essere umano e dell’esistenza umana, quando ha potuto affrontare anche i chiaroscuri e le zone d’ombra della nostra vita.

Questi semi erano già presenti nella clownerie del diciannovesimo secolo, dove la risata scaturiva da contraddizioni profondamente umane, anche drammatiche, che implicitamente e inconsapevolmente rappresentavano l’essere umano nella sua dimensione psicologica e sociale, ma sono germogliati in fiori dai colori inaspettati, tanto che attualmente il circo non solo ha sulla sua tavolozza tutti i colori che servono per dipingere l’essere umano, direi piuttosto che ha i materiali per plasmarlo in tutte le sue forme e per raccontarne le metamorfosi. Oggi possiamo parlare di poetica del circo, poiché non tutti gli spettacoli circensi hanno gli stessi obiettivi artistici, e non tutti sono rivolti al medesimo pubblico. C’è il circo concepito prevalentemente per divertire i bambini, che può essere artisticamente valido, ma anche il circo pensato per un pubblico più maturo, con una poetica del tutto diversa, come Bacanal del Circo de los Horrores per fare un esempio di arte circense non adatta alla prima infanzia.

C’è il circo d’arte che definirei “leggero”, laddove, citando Calvino, leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore (penso per esempio al Circus Theater Roncalli); ma anche il circo d’arte impegnato, che può essere perfino drammatico, in grado di affrontare in modo credibile anche temi psicologici, sociali ed esistenziali (emblematico A-TripiK di CirkVOST). Proprio questa enorme potenzialità espressiva, questa possibilità di parlare di ogni aspetto dell’esistenza umana, ha permesso di affrancare il circo dalle finalità puramente ludiche e d’intrattenimento, elevandolo di fatto a grande arte. Se il circo venisse inteso come puro divertimento, precludendogli la possibilità di proporre più o meno direttamente riflessioni profonde, non potremmo considerarlo davvero arte. Questa affermazione non è in contraddizione con la piacevolezza propria di molti spettacoli di circo, poiché si può parlare profondamente dell’uomo anche con leggerezza; anzi, forse questa è la più grande forza dell’arte circense.

Questa capacità di raccontare l’esistenza umana è trasversale al “circo classico” e al “circo contemporaneo” o nouveau cirque, tanto che queste categorie novecentesche possono risultare anacronistiche. Un buon esempio è fornito dalla tournée del centenario del circo Knie, nel 2019, dove un grande circo classico, con alle spalle un secolo di storia, cercò di esprimere con l’arte circense l’essenza del suo percorso, segnato in quel momento da un passaggio epocale, l’addio alla pista di Fredy Knie Junior, che decise di lasciare la direzione del circo alla generazione successiva, idealmente rappresentata dalla nipotina Chanel. Quello fu un esempio di grande circo d’arte, un salto oltre il circo classico comunemente inteso, perché lo spettacolo assunse una profonda valenza poetica ed esistenziale, diventando un racconto emotivo narrato con i mezzi della tradizione.

In Italia l’esempio più fulgido di questo superamento è sicuramente il Salieri Circus Award di Antonio Giarola, regista e teorico del circo d’arte, che trasforma numeri circensi classici, d’alto valore tecnico, in opere d’arte complesse e completamente nuove, dove l’accompagnamento della musica classica è un elemento imprescindibile. Ci si può chiedere quali siano le caratteristiche della decima arte. In primo luogo è un’arte composita, che unisce le tipicità delle numerosissime discipline circensi, classificate con il Sistema Gurevich nel 1970, ai contributi di altre discipline, come la musica, la danza, il teatro, la letteratura e le arti visive. Non c’è limite alla capacità della decima arte di assorbire e utilizzare gli strumenti delle altre arti. Aggiungo che nella maggior parte delle sue declinazioni è comprensibile e godibile indipendentemente dalla lingua e dalla provenienza dello spettatore, diventando universale.

Ovviamente, se esiste l’arte del circo, deve esistere anche una critica specializzata, così come avviene per tutte le altre arti, che miri ad analizzare e comprendere spettacoli che possono avere una notevole complessità artistica. La decima arte annovera tutti coloro che compiono un’autentica operazione artistica nella sterminata costellazione degli spettacoli di circo. Si può fare arte nei grandi circhi europei come nei piccoli circhi di provincia, avere uno chapiteau sulla testa o non averlo, utilizzare animali oppure no, avere una disabilità, essere considerati folli. Non importa. La decima arte esiste, ma affinché le venga riconosciuta la dignità che merita occorre non avere preclusioni, analizzarla e, soprattutto, raccontarla.

 

 

 

 

 

Trucchi e misteri della decima arte