Gravina & Mancini

Chi perde se ne va

Lo sciagurato fallimento della nazionale italiana di calcio, esclusa per la seconda volta consecutiva dai campionati mondiali, impone mutamenti profondi nello sport più amato dagli italiani. Che però non appaiono possibili con questi dirigenti e questi allenatori. E nemmeno con questi giocatori. Un eccesso di calciatori stranieri, oltretutto mediocri, impedisce lo sviluppo di nuovi talenti italiani.

Niente scuse. E nessun alibi. Chi perde se ne va. Non certo per vendetta, tanto meno per odio. Semplicemente perché è giusto così. Nello sport come nella vita. Per serietà (anche se è merce rara, specie da noi).

Non possiamo, come Paese, affidare ai responsabili di questo fallimento il rischio di progettarne un altro. Gabriele Gravina, presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio, e Roberto Mancini, allenatore della Nazionale Italiana di calcio, responsabili di questo fallimento, e quindi inadeguati a continuare, sono pregati di togliere subito il disturbo. Licenziati, se non avranno nemmeno la dignità di dimettersi dopo questa vergogna nazionale. Non era mai capitato che restasse fuori dai Mondiali, e per due volte di seguito, un Paese di grande tradizione calcistica come l’Italia, quattro volte campione del mondo.

Non è solo colpa di Berardi, che ha sbagliato un gol che avrebbe segnato anche un ragazzino, se non andiamo ai Mondiali. Non è solo colpa di Donnarumma, che non ha evitato un gol che si doveva evitare (ai portieri insegnano fin da piccoli che non si può prendere gol da fuori area), se non andiamo ai Mondiali. Non è solo colpa di una squadra inguardabile che si fa battere dalla Macedonia (che è tutto dire…) se non andiamo ai Mondiali. Siamo seri.

«Avanti a testa alta», dice Gravina. Ma con che faccia? E quale testa alta? Testa bassa, occhi a terra, cenere sul capo e frustate sugli zebedei, casomai. E poi subito, per fugare ogni dubbio: «Io resto». Peggio mi sento. E ancora: «Mi auguro che Mancini continui con noi». E Mancini, altro bel tomo, dice che deve «riflettere» sulle dimissioni. Riflettere??? Riflettere su che? Non è abbastanza evidente il disastro? No. Per favore, no. Avete fallito. E clamorosamente. Andatevene. Tutti e due. Almeno un briciolo di dignità. Lasciate il posto a qualcun altro.

Quattro anni fa pensavamo che l’esclusione dai Mondiali fosse tutta colpa di Giampiero Ventura, tecnico palesemente inadeguato alla bisogna. Infatti lo era. Di Mancini, che ci aveva sorpreso facendoci vincere un Europeo, non pensavamo questo. Invece è successo di nuovo. Allora vuol dire che il problema non è solo l’allenatore. Vuol dire che il problema è più serio e il male più profondo.

Le ragioni sono semplici, come semplice, al di là delle insopportabili chiacchiere di soloni e saputelli, è il gioco del calcio: per vincere devi sempre e solo buttare dentro la rete quella maledetta palla. E farlo una volta in più dell’avversario. Alla fine, la vera ragione del fallimento del calcio italiano è una sola: in Italia giocano troppi stranieri (sono la maggioranza in serie A, più del 70 per cento), e questo limita enormemente la nascita e lo sviluppo di talenti italiani, che non trovano più spazio nemmeno nelle categorie minori.

Le società italiane, grandi e piccole, comperano (sarebbe meglio dire prelevano) grappoli di giocatori sconosciuti dai Paesi più improbabili per almeno due buoni motivi: perché non costano nulla e sperano che diventino dei campioni (ma la maggior parte restano brocchi), in modo da rivenderli a caro prezzo e fare un buon guadagno, e perché mettere soldi in qualche posto all’estero può risultare spesso un buon affare. Arrigo Sacchi, uno che se ne intende (anche se nemmeno lui è riuscito a farci vincere un Mondiale), dice alla Gazzetta che «il problema è istituzionale», nel senso che «i settori giovanili sono pieni di stranieri comprati come se fossero stock di frutta e verdura», e inoltre «le società sono piene di debiti, e le squadre non vincono nulla fuori dall’Italia».

Proprio così. Il fallimento è totale. Su tutta la linea. Il calcio italiano ha bisogno di un cambiamento profondo, dalle fondamenta. Cambiamento di mentalità, metodo e gestione. Che però non si può fare, come si è visto chiaramente, con questi dirigenti e con questi allenatori. E nemmeno, com’è apparso evidente, con questi giocatori. Sempre e comunque Forza Italia (senza alcuna allusione politica).

 

LA PAGELLA

Gabriele Gravina. Voto: 4

Roberto Mancini. Voto: 4

Domenico Berardi. Voto: 4

Gigio Donnarumma. Voto: 4

Nazionale Italiana di Calcio. Voto: 4

Giampiero Ventura. Voto: 4

Arrigo Sacchi. Voto: 5

La Gazzetta dello Sport. Voto: 6

Gravina e Mancini