Le due mutazioni della pandemia
I recenti cambiamenti del contagio tra genetica e società
Nelle ultime settimane ci sono state due piccole, ma molto significative, mutazioni nella pandemia di Covid-19. Una è genetica, e riguarda il virus Sars Cov-2; l’altra è sociologica, e riguarda l’ospite umano. In entrambi i casi i potenziali sviluppi sono ancora poco chiari, ma nella peggiore delle ipotesi piuttosto preoccupanti.
(l.c.) — Dalla sua prima apparizione il coronavirus, che si comporta come tutti gli altri, ha subito innumerevoli mutazioni, centinaia delle quali sono state osservate ma tutte, tranne una, sono finora irrilevanti. Non essendoci ancora un vaccino, né un farmaco antagonista efficace, non c’è nessuna spinta selettiva e i cambiamenti sono casuali. Deve ancora iniziare la corsa agli armamenti tra esseri umani e coronavirus con i vari tentativi di reciproche eliminazione o tolleranza.
La mutazione riguarda la spicola, la proteina usata dal virus come un grimaldello per penetrare nelle cellule umane e iniziare la sua devastante riproduzione. Sembra che si sia originata da qualche parte proprio in Italia, ed ora si presenta in quasi la totalità dei campioni in tutto il mondo. La sua diffusione potrebbe essere conseguenza dell’essere apparsa relativamente presto, nelle prime settimane dall’arrivo della pandemia in Europa.
Nessuno afferma per certo che per il coronavirus si tratti di un vantaggio evolutivo o se al contrario sia neutrale. Intanto la mutazione è siglata D614G. Ma il sospetto che possa rappresentare un vantaggio nella diffusione tra gli esseri umani è fondato e alcuni studi mostrano una maggior quantità di virus con questa mutazione nei tamponi positivi. E la sua diffusione in tutto il mondo, compresa la Cina da dove proveniva la variante originaria ora soppiantata, è un indizio a favore dell’ipotesi di maggior facilità nel contagio.
Fortunatamente: per prima cosa il cambiamento non appare nelle zone della spicola su cui invece si stanno concentrando molti dei vaccini in corso di preparazione; e per seconda cosa una maggiore contagiosità non significa maggiore letalità.
La seconda mutazione è sociale. Secondo i dati più recenti la pandemia è entrata in una nuova fase, in cui si diffonde tra gli esseri umani sotto i quarant’anni d’età, spesso senza causare sintomi o con blande manifestazioni, accelerando il contagio anche a causa della maggiore socialità dei giovani rispetto agli anziani. Ciò è da alcuni mesi piuttosto evidente in Giappone, paese dove il distanziamento sociale e le regole di contenimento (come indossare la mascherina) sono in parte abituali, e in cui il maggior numero di contagi è quasi sempre stato tra le fasce d’età inferiore. Secondo il direttore dell’ufficio del Pacifico Occidentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Takeshi Kasai: «L’epidemia sta cambiando e le persone dai venti ai quarant’anni stanno sempre di più pilotando la diffusione. Molti non sanno di essere infetti e ciò aumenta il rischio di contagio dei più vulnerabili». Secondo l’Istituto superiore di Sanità, l’osservazione sull’età dei contagiati varrebbe anche per l’Italia, almeno per i dati relativi alla prima decade di agosto, con l’età dei nuovi casi intorno ai trentaquattro anni.
Ciò ha causato variegate reazioni soprattutto in Europa, dove la mutazione sociale appare particolarmente intensa: dallo sconforto con rabbiosa reprimenda, all’esortazione alla pacata responsabilità. Hans Kluge dell’ufficio Europa dell’Organizzazione mondiale della Sanità ha perorato il ritorno all’attenzione: «Diffondete divertimento, non il virus. Proteggete i vostri genitori e i vostri nonni. Nessuno è invincibile e anche se per voi il covid-19 non è mortale, vi si attacca addosso come un tornado con una lunga coda».