Basta mozziconi
non solo multe
ecco il cikka-bag

In anteprima, la soluzione che salverà il pianeta dall’alluvione di cicche

72 miliardi di mozziconi di sigaretta abbandonati sulle strade italiane. Per combattere il fenomeno arriva un geniale brevetto dell’inventore Maurizio Bastianetto: un originale porta-cicche che viaggia insieme al pacchetto di sigarette. Ma il problema non si porrebbe nemmeno se esistessero ancora i cacciatori di cicche. Amarcord di un tempo perduto.

VENEZIA – Il problema è che sono scomparsi i cacciatori di cicche. Signori mediamente in età matura, ben vestiti, mica barboni, che negli anni cinquanta andavano a spasso appoggiati al loro elegante bastone da passeggio. Solo guardando attentamente si notava che sulla punta del bastone c’era uno spillo, che serviva a raccogliere da terra i mozziconi di sigarette senza doversi ogni volta chinare. Da quei mozziconi si ricavava tabacco ancora buono da fumare. Oggi non più. Perché la maggior parte delle persone fuma sigarette con il filtro (una volta era il contrario), e quindi rimane poco tabacco usabile, ma anche perché non siamo più così poveri da dover raccattare le cicche da terra. E infine perché quella volta non c’era la paura del contagio che c’è adesso, al pensiero di mettersi in bocca qualcosa già passata per la bocca di un altro.

Giorgio, mio nonno materno, era un cacciatore di cicche. Non perché fosse povero (lavorava in banca), ma perché era risparmioso. Le mie zie, in realtà, dicevano avaro. Lui le cicche non solo se le raccoglieva da terra, per strada, ma se le faceva anche portare a domicilio dalle persone con cui aveva confidenza e che non abitavano con lui. Mia madre, per esempio. Cioè, sua figlia. Mia madre, che si chiamava Ada, fumava Super senza filtro. Quando spegneva una sigaretta, e ne spegneva parecchie in una giornata, non buttava mai via la cicca, ma la infilava in un sacchettino, di quelli che ti davano alla torrefazione quando comperavi il caffè macinato per la moka. Quando il sacchettino era pieno, mia madre mi chiamava e mi diceva, con una certa solennità: «Berto, le cicche sono pronte. Puoi portarle al nonno». Era uno dei compiti che mi erano stati assegnati.

Io inforcavo la mia bici, con quel sacchettino puzzolente che sapeva di tabacco bruciato e ancora un po’ di caffè, e che sporcava di nero le mani, e correvo dal nonno. Lo trovavo sempre lì, seduto a capo tavola del tavolo del salotto, con una giacca da camera color tabacco addosso e un bricco di caffè vecchio e scrostato davanti. Gli appoggiavo il sacchettino sul tavolo con un sorriso e mi sedevo vicino, curioso di vedere cosa ne avrebbe fatto. Anche lui sorrideva, anche lui era contento che fossero arrivate le cicche. Diceva qualcosa del tipo: «Oh, benon». Non era un tipo di molte parole. Poi apriva il sacchettino e ci guardava dentro come se fossero stati gioielli di Cartier. Distendeva le pagine del Gazzettino davanti a sé, ci rovesciava sopra il contenuto del sacchettino, esaminava con cura le cicche una per una, con aria da intenditore, soppesando le più cicciose, poi cominciava ad aprirle, separando la carta da una parte e il tabacco dall’altra. Alla fine, quando tutte le cicche erano state scartate, rovistava nel tabacco recuperato con le dita come se volesse prima stirarlo e poi amalgamarlo. Quindi versava il tabacco dentro una scatola metallica, che aveva un’etichetta con la scritta stampata, «Trinciato Italia», e che conteneva altro tabacco presumibilmente di altre cicche.

Questa operazione durava un bel po’, anche perché ogni tanto lui si interrompeva per raccontare storia della prima guerra mondiale, alla quale diceva di aver partecipato, tenente in salmeria. Retrovie. L’ultimo gesto era quello di caricare la pipa, una vecchia pipaccia nera, logora, tutta consumata, che accendeva con dei lunghi fulminanti da cucina, e di aspirare boccate carnose di fumo che poi sbuffava nella stanza che presto si riempiva di nuvole basse. Le zie, quando entravano, facevano il gesto di tapparsi il naso. Un po’ perché non fumavano, loro, e un po’ perché il puzzo di quel tabacco recuperato era, in effetti, abbastanza pestilenziale.

Ci fossero ancora, i cacciatori di cicche come mio nonno, non dovremmo nemmeno preoccuparci del problema di dove vanno a finire le cicche. Perché sembra una stupidaggine, una roba da poco. E invece è uno dei problemi maggiori che oggi assillano il pianeta. Basti pensare che il 40% dei rifiuti che si recuperano nel Mediterraneo è composto da filtri di sigarette. Filtri che ci impiegano ben 5 anni prima di diventare biodegradabili. Siamo sepolti da un mare di cicche. Si calcola che solo in Italia, in un anno finiscano a terra, sulle spiagge e nel mare, qualcosa come 72 miliardi di mozziconi di sigarette. Per dare un’idea, se si mettessero in fila le cicche, una accanto all’altra, coprirebbero cinque volte la distanza dalla terra alla luna. E se si mettessero su una bilancia, peserebbero quanto una nave corazzata da 21.600 tonnellate. Solo Parigi, l’anno scorso, ha raccolto 315 tonnellate di cicche.

Per combattere questa catastrofe, il mondo sta cominciando a organizzarsi. Il primo passo è stato quello di multare chi getta le cicche per terra. Ha cominciato Singapore, mettendo multe salatissime: 1.000 euro. L’hanno imitata Rotterdam (100 euro di multa), Barcellona (90 euro) e Parigi (35 euro). In Italia, hanno deciso le multe le città di Pollica-Acciaroli (Salerno, oltre i 500 euro di multa), Tirano (Sondrio, da 500 euro), Trento (500 euro), Lecce (da 25 a 500 euro), Gardone Riviera (da 10 a 500 euro), Varese (da 55 a 330 euro), Erba (da 50 a 330 euro), Parma (300 euro), Firenze (fino a 160 euro), Lucca (da 30 a 150 euro), Ferrara (fino a 100 euro), Padova (50 euro).

Ma un modo, per risolvere il problema, adesso c’è. Si chiama Cikka-bag, e lo ha brevettato un geniale inventore veneziano, Maurizio Bastianetto, già creatore di altre meraviglie e prodigiose avventure come l’installazione di piantagioni di funghi porcini in Sudafrica, ma conosciuto anche come attore brillante (suo lo spettacolo Naturalia non sunt turpia), nonché ironico scrittore (Mali e remèdi, Filippi 2010). In realtà la sua invenzione – in questo caso serissima – è l’uovo di Colombo. Semplice come tutte le invenzioni geniali. È praticamente un porta-cicche che viaggia incorporato allo stesso pacchetto di sigarette. «Per rendere il fumatore responsabile, oltre che del proprio fumo, anche dei propri mozziconi – spiega – ho pensato questo porta-cicche che ha la dote di viaggiare assieme al pacchetto di sigarette, ed essere quindi usato come contenitore della cicca alla fine di ogni fumata. In questo modo, il fumatore non avrà più scusanti per gettare la cicca per terra».

Il cicca-bag, che sarà presto disponibile sul sito www.cikka-bag.it è costruito in cartoncino leggero e forma un tutt’uno con il pacchetto di sigarette. Ha l’interno foderato con un foglio di alluminio ignifugo, e una chiusura che fa spegnere la brace per mancanza di ossigeno, anche se il fumatore non dovesse spegnere la sigaretta prima. Così il pacchetto, una volta finito, terminerà comunque nelle immondizie, ma stavolta insieme alle sue cicche. «Questa soluzione presenta molti vantaggi – spiega l’inventore – a partire dal montaggio, che è semplicissimo, per continuare con il minimo ingombro, e con il costo, praticamente irrisorio. Potrà inoltre essere adottato da diverse tipologie di utilizzatori, dalle stesse case produttrici di sigarette ai Comuni, dai parchi agli alberghi, dai bagni alle spiagge».

Niente più alibi, insomma. E soprattutto, un mondo più pulito. E meno a rischio: in questi giorni, proprio a causa di una cicca, hanno rischiato di bruciare il ponte dell’Accademia a Venezia, un cantiere a Mirano, e un vecchio forte a Marghera. ★

Basta mozziconi non solo multe ecco il cikka-bag