Caro amico ti scrivo

Mi scrive Huang Hong. Mi scrive da Hong Kong. Nome di poca fantasia, tra l’altro, visto che il cognome è uguale alla prima metà del nome della città. Comunque non conosco Huang Hong e non so chi sia. Ma questo non ha alcuna importanza, mi scrive molta gente che non conosco, e che nemmeno mi interessa conoscere. Mi scrive una mail, naturalmente, oggi nessuno scrive più lettere. In ogni caso neanche questo è un problema, anch’io scrivo mail. E nemmeno questo è il punto.

Il punto è un altro. Il punto è che Huang Hong, che si qualifica come «gestore degli investimenti privati» della Icbc Bank, Banca Industriale Commerciale di China Limited, che definisce «una delle banche stimabili di Hong Kong», per motivi non meglio precisati vorrebbe depositare sul mio conto corrente bancario l’esilarante sommetta di ventisette milioni di euro (avete letto bene, 27 milioni di euro).

Trattasi di una transazione perfettamente legale, spiega, tecnicamente «il trasferimento di un fondo di deposito». Un’operazione piuttosto riservata (meglio non parlarne in giro, si cautela), al termine della quale io potrò trattenere, come ricompensa per la mia prestazione, la metà dell’irresistibile sommetta, mentre l’altra metà dovrei versarla al soprannominato signor Huang Hong di Hong Kong.

Va’ a ciapà i ratt, gli ho risposto, in milanese. Non so se capisce. Ma se non capisce, può sempre farselo tradurre.

Non so invece cosa rispondere a un mio amico (e qui non ne faccio il nome, perché dubito che sia davvero il mio amico e sospetto invece che sia qualcuno che usa il suo nome), il quale –prima sorpresa- non mi scrive in italiano né in veneziano, lingue nelle quali abitualmente ci esprimiamo, ma mi scrive in inglese, pur sapendo benissimo che io non so l’inglese.

Questo mio (finto) amico mi scrive, in inglese appunto, per dirmi: «I sent a document to you via drop box». Pur non sapendo l’inglese, capisco che ci sarebbero dei documenti per me, che questo mio amico mi avrebbe inviato da qualche parte, e che per leggerli dovrei cliccare (si dice così, no?) in qualche posto. Probabilmente per prenderlo in quel posto.

Intanto non c’è alcun motivo per cui questo mio (finto) amico mi debba inviare dei documenti. Poi, anche ammesso che così fosse, non ha alcun senso che non mi dica di che documenti si tratta. Infine, quali sostanze avrà assunto (alcuni spritz al bitter, di cui va ghiottissimo, non bastano), per indurlo a parlarmi in inglese?

Dev’essere proprio scoppiata una mania. Anche una prestigiosa istituzione universitaria di una città che ben conosco e frequento, mi scrive infatti in inglese. Anche lei ha qualcosa a che fare, evidentemente, con delle carte che mi riguardano. Infatti mi dice: «I sent a file», e «I have shared a file via drop box», senza aggiungere altro, salvo che anche qui devo cliccare qualche cosa per vedere qualche altra cosa.

Ma il messaggio più inquietante mi arriva dalla banca. Mi dice che, in seguito a ripetuti tentativi di intrusione telematica, il mio conto corrente è stato bloccato, e che per sbloccarlo devo anche qui cliccare qualcosa, inserendo, unicamente per un controllo a tutela della sicurezza mia e dei miei soldini, i dati del mio conto.

Peccato che in quella banca io non abbia, non abbia mai avuto (e probabilmente mai avrò) alcun conto corrente. Bellezze della rete.

LA PAGELLA
Huang Hong, Icbc Bank: voto 2

Il celebre detto milanese "Va' a ciapà i ratt" …

Caro amico ti scrivo