Dailydead

Il giorno che chiude un giornale non è mai un bel giorno. Perché una voce che si spegne, anche se è una piccola voce, è una voce in meno, una voce che viene a mancare. E una voce che scompare impoverisce il mondo dell’informazione e restringe lo spazio delle idee, del confronto delle opinioni. Riduce, in definitiva, il terreno della democrazia.

Succede, in questi tempi difficili per la carta stampata, che i giornali di carta comincino a morire. Mensili, settimanali, quotidiani. Affondati dal calo a due zeri (10-20%) delle vendite dovuto al mutamento di abitudini dei lettori (molti, specialmente i più giovani, leggono ormai i giornali solo in rete), dal collasso, ancora più pesante e probabilmente irreversibile, della pubblicità (cali del 30-40%), e dall’aumento dei costi di gestione (più 20-30%).

Ma il fatto che sabato 15 dicembre muoia il primo e unico giornale nato e pensato per la rete e pubblicato solo in rete, l’americano The Daily, suona molto strano, in palese contro tendenza, e apre più di qualche interrogativo, alcuni anche leggermente inquietanti, sugli scenari futuri di quella che dovrebbe essere la nuova frontiera dell’informazione globale.

The Daily, l’ultima creatura del grande squalo Murdoch, era stato lanciato in pompa magna il 2 febbraio del 2011. Prima solo per l’Ipad, poi anche per tutti gli altri supporti. Ha vissuto solamente 1 anno, 10 mesi e 13 giorni. Una grande illusione. E pensare che era stato presentato come «il giornale del XXI° secolo». «Un’esperienza audace» l’aveva definita Rupert Murdoch, che però «non ha trovato — sono parole sue — un pubblico abbastanza largo che gli permettesse di continuare la sua esistenza».

Il vecchio squalo Murdoch, che aveva investito nell’impresa una somma ragguardevole (23 milioni di euro), si era prefissato l’obiettivo di 500mila lettori abbonati paganti. Ne ha raggiunti solo 100mila. Troppo poco, secondo l’editore, per reggere i costi di una redazione che a New York occupava 150 persone, di cui 100 giornalisti.

Eppure, la quota di 100mila lettori abbonati paganti, a fronte di un giornale che diversamente da quelli stampati non ha i costi della carta, della tipografia, né della distribuzione, farebbe felice qualsiasi editore italiano sia di giornali in rete che di giornali di carta stampata. Basti pensare che in molte città italiane sopravvivono, e anche con una certa dignità, gazzette locali di carta che non superano le dieci, ventimila copie.

Allora, probabilmente c’è dell’altro. C’è la megalomania berlusconiana dello squalo che da un lato ha sopravvalutato il mercato dei lettori della rete, e dall’altro ha gonfiato all’eccesso una redazione che avrebbe potuto tranquillamente essere, almeno all’inizio, molto meno numerosa e molto meno costosa. E c’è, probabilmente, anche il tipo di giornale, che non sembrava proprio il più adatto né alla rete né al momento che attraversa l’informazione nel suo complesso.

Un dato, questo, ben inquadrato dallo studioso americano dei media Ken Doctor, che ha definito The Daily «seducente e talvolta persino stupefacente», ma lo ha bocciato come «troppo leggero nei contenuti» per attrarre un numero più ampio di lettori quotidiani. «Se chiami un giornale The Daily — ha spiegato sul suo blog Newsonomics — devi trovare il modo di farne un giornale da leggere assolutamente tutti i giorni».

Cosa che, evidentemente, non è successa. Ancora più dura, in proposito, un’altra esperta di media, Rebecca Lieb: «The Daily non offriva nulla che i lettori non potessero trovare su un altro giornale».

Peccato, comunque (ed è anche un gran brutto segno per il futuro) che il primo giornale al mondo nato in rete, muoia. E muoia così presto. Riprovaci ancora Squalomurdoch. Anzi no, meglio di no. Speriamo che ci provi, e con maggior fortuna, qualcun altro. ★

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