Quando la luce è un’illusione

Una mostra molto particolare allestita a Venezia

Cosa accade a un amante del buio crepuscolare quando si reca a visitare una mostra dedicata alla luce, come nel caso dell’esposizione curata da Caroline Bourgeois a Palazzo Grassi. Un viaggio leggero, etereo, avvolgente. Una camminata catartica, quasi di purificazione, in bianco e nero. Quel bianco e nero degli angeli sopra Berlino che tanto affascina la creazione ancora nel divenire.

VENEZIA ― La creazione avviene con la luce. Ovvio, se non ci vedi come fai a manipolare un qualcosa di materico per farlo diventare qualcos’altro.

Oppure no: la creazione avviene al buio: un’idea dentro al cervello, un bambino dentro un utero. Oppure avviene in penombra (qui sbizzarritevi voi a trovare un esempio), ma anche la penombra è luce.

Luce,φῶς/phōs, senza di essa sparirebbe quasi interamente il mondo delle invenzioni e di tante altre cose, specie quello mediatico che ci tampina sempre meno utilmente ventiquattro ore su ventiquattro. E sparirebbe pure la bolletta, e torneremo all’età della pietra, aspettando il sole nascente o un ritaglio di luna per andare a caccia senza inciampare.

Per uno come me, amante del buio crepuscolare, avventurarsi verso la luce vuol dire farsi del male. Eppure mi son lasciato sedurre ingenuamente, pensando a Dante e alla sua musa Beatrice che lo conduce per manina a gustare l’ebbrezza dell’empireo.

Ecco, se non ci fosse la luce sparirebbe il concetto di Paradiso. Angeli compresi, che sono entità di pura luce.

Questo mi è venuto in mente a Venezia, davanti all’ingresso di Palazzo Grassi, qualche pomeriggio fa. L’occasione di una visita veneziana, che da un mesetto mi mancava, porta qui, traversando l’Accademia e calle delle Botteghe. Anche per vedere cosa espongono le gallerie d’arte senza visitatori disseminate sul percorso e, al limite, se non ci pare di osservare novità eclatanti, guardarci noi riflessi nelle vetrine come turistelli.

Poi la mostra, o quell’itinerario lungo le sale del palazzo che ha perso la sua origine nobiliare per diventare contenitore di esperimenti creazioni idee.

Cosa ci abbiamo trovato non ve lo dico: ammetto solo che la visita è iniziata con una sorpresa (di luce) davanti all’ingresso. Poi mi ha sorpreso, lo ammetto, l’estrema leggerezza e soavità di quel che ho visto, che abbiamo visto. Figure oscure nella nebbia luminosa, cerchi splendenti che mangiavano il buio. Il blu avvenente d’un salone, la nuvola nucleare di Bikini.

No, mi ero ripromesso di non raccontare nulla. Però lo ammetto, è stato un viaggiare leggero, etereo, avvolgente. Una camminata catartica, di purificazione, in bianco e nero (qualche scheggia di colore non inquinava lo svolgere implosivo del tema). Quel bianco e nero degli angeli sopra Berlino che tanto affascina la creazione ancora nel divenire.

Ecco qua, mi pare d’aver detto tutto (ma spero invece di non aver detto nulla). L’esperienza creativa contemporanea ha bisogno di tante spiegazioni, quelle che non troverete qui ma nella guida scaricabile dal sito.

A me, amante del buio, è piaciuta la sottrazione, cioè quando il buio magro si mangia la luce grassa. Simbolo forse di un mondo artistico avviato velocemente verso il big bang all’incontrario: il buco nero si mangia la materia e amen, la pellicola del film esistenziale si riavvolge. Buio in sala in attesa del prossimo Genesi.

Il mio preferito è (guarda caso) Le Salon Noir (1966) del belga Marcel Broodthaers (1924-1976) che ha trasformato la cassa da morto appoggiata al muro in uno scaffale di barattoli con le etichette che riproducono un noto profilo (mi ci son fatto fotografare accanto).

Da vedere, ancora per poco.

L’illusione della luce (Pinault collection)
a cura di Caroline Bourgeois
Venezia, Palazzo Grassi,
fino al 31.12.2014

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