Il mistero di Ciucco
poeta usurpato
Una sconcertante scoperta letteraria
Viene finalmente alla luce, dopo ben otto secoli in cui si erano sprecate illazioni e dicerie, il «Canzoniere infame» di Ciucco Angiolieri, fratello dimenticato del più celebre Cecco, l’autore di «S’ì’ fosse foco», uno dei massimi poeti del Duecento. Un libro appena uscito, pubblicato da I Antichi Editori, raccoglie per la prima volta alcune tra le migliori -e più sulfuree- poesie di Ciucco. Lo stile, in alcuni passaggi, risente dell’influenza della poetica del fratello maggiore, ma lo spirito di ribellione, la forza delle immagini e la furia iconoclasta sono spesso superiori, e raggiungono vertici spesso inaspettati.
Se è abbastanza noto, almeno a chi ha alle spalle brandelli di studi classici, il nome di Cecco Angiolieri, uno dei massimi poeti del Duecento, non altrettanto si può dire del molto meno noto Ciucco, fratello minore (qualcuno dice fratellastro), ingiustamente dimenticato dal pubblico e dalla critica, anche da quella più colta e più avveduta.
A colmare questa lacuna pensa adesso un agile volumetto dal titolo “Canzoniere infame”, che contiene alcune delle liriche più celebri di Ciucco Angiolieri, pubblicato da I Antichi Editori (10 euro, reperibile anche in formato digitale su www.iantichieditori.it), e curato dallo scrittore Roberto Bianchin, anch’egli a modo suo poeta, che nella prefazione l’editore definisce come l’unico biografo ufficiale di Ciucco Angiolieri.
Comunque sia, il curatore dell’opera disegna un ritratto appassionato, e ricco di notizie inedite, del fratello più giovane e meno noto del più celebre Cecco (Siena, 1260 circa – Siena 1313 presumibilmente), Ciucco Angiolieri (sobborghi di Siena, 1265 pressappoco - ??), anch’egli figlio del ricchissimo Angioliero degli Angiolieri, banchiere di Papa Gregorio IX.
Spesso confuso con il fratello maggiore, che non si fece scrupolo alcuno nell’usurpargli stoltamente fama e denari approfittando di alcuni momenti di distrazione perniciosa, come gli storici più attenti hanno avuto modo di testimoniare più volte nel corso dell’andare dei tempi, Ciucco Angiolieri ha vissuto e sofferto tutta la vita l’impari confronto con il più anziano, ma verosimilmente meno dotato sotto ogni aspetto, Cecco.
Si protrasse per secoli infatti l’equivoco sulla poetica, all’apparenza simile (ma solo in apparenza), dei due fratelli, separati tra l’altro da caratteri ambedue molto impulsivi e condotte di vita uguali ma diverse; per dire, in entrambi prevaleva la passione smodata per donne, taverne e dadi, come confessarono gli stessi, ma diverse erano la frequenza, l’ardore e l’intensità, talora la destrezza, l’imprevedibilità e l’inganno, al punto da provocare fra loro frequenti e violentissimi diverbi, e non solo verbali.
Ci voleva, sette secoli dopo, la sconvolgente scoperta, da parte degli eruditi della Compagnia de Calza “I Antichi”, una misteriosa congrega di letterati paraninfi paraculi e perdigiorno, che avrebbe dato una svolta e una scossa alla storia della letteratura italiana. (Per saperne di più sulla Compagnia de Calza, si può eventualmente consultare — a gratis — l’agile volumetto “Storia de I Antichi”, trecento e cinquantasei pagine riccamente illustrate, sul sito www.iantichi.org).
Per ora vi basterà qui di sapere che questi nobilissimi eruditi, che si possono tranquillamente e senza tema di smentita annoverare tra i migliori rampolli che la Serenissima Repubblica di Venezia abbia mai partorito nel corso della sua storia gloriosa e millenaria, avevano già avuto modo di smascherare alcuni clamorosi falsi storici.
Scoprendo ad esempio, in un forziere piombato abilmente celato nei sotterranei della Biblioteca Marciana di Venezia (era un afoso pomeriggio di agosto, per la cronaca), la natura della vera famiglia del Cavaliere di Seingalt Giacomo Girolamo Casanova nato in calle Malipiero dalla nota attrice di teatro Zanetta Farussi e da padre meno noto, che era composta da una sorella zoccola, Giacomina, e da due gemellini monazigoti come Giacometo (etero) e Giacomasso (omo).
Ma non solo. I due storici autori della scoperta, il nobilissimo Colo de Fero e l’altrettanto nobilissimo Bob R. White, erano riusciti a trarre in inganno, abilmente travestiti da Marinaio Johnny e da Corsaro Rosa, una ferocissima tribù di indiani appalachi, celebri tagliatori di teste e di coglioni, dai quali si erano fatti consegnare, al termine di estenuanti trattative e di fittissimi rituali erotico-esoterici, tra cui il temibilissimo “O bumba o morte”, il segreto contenuto in alcune tavole sinottiche raffiguranti un’autentica panoplia di bizzarri organi sessuali, sia maschili che femminili, alcuni dei quali rarissimi, altri in via di estinzione, e altri ancora, come quello posseduto dallo stesso Colo de Fero, addirittura estinti. (Confronta, per approfondire, gli agili volumetti “Le Tavole Sinottiche del Casso” e “Le Tavole Sinottiche de la Mona”, I Antichi Editori 2006, disponibili a prezzi concorrenziali anche in e-book sul sito www.iantichieditori.it ).
Basandosi su un procedimento pressoché analogo, irrobustito da massicce iniezioni di Negroni prima del tramonto (Negroni inteso come cocktail col gin di Bombay, di cui gli eruditi sono ghiotti), gli ormai celebri studiosi sono riusciti a far cadere anche un altro velo: quello riguardante l’attribuzione a Ciucco Angiolieri anziché a Cecco Angiolieri, come credevasi fino in epoca moderna, di alcuni celebri componimenti contenuti nelle enciclopedie poetiche e financo nei noiosissimi libri di scuola.
Per fare un solo esempio, chi è che non ricorda quel celeberrimo sonetto del titolo palingenetico (e sottilmente apotropaico) di “S’i’ fosse foco”, attribuito a Cecco Angiolieri, con cui ci hanno massacrato gli zebedei sui banchi del liceo facendocelo imparare a memoria e indi ripetere fino all’esaurimento? Lo ricordate? “S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo. S’i’ fosse vento, lo tempestarei. S’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei. S’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo”. Bellissimo, no?
Peccato non sia affatto di Cecco Angiolieri. Ma, come hanno potuto ricostruire i nostri eruditi, sulla base di alcuni documenti originali ritrovati solo alcuni decenni orsono in una capanna sul monte Capanne dell’isola d’Elba, in cui sembra avesse soggiornato in tempi non molto remoti il celebre erudito Duilio Leremita, uom di multiforme ingegno capace di assumere di volta in volta a seconda delle circostanze — così almeno si raccontava- le sembianze di una gallina, di un nano o di un imbriaco, ci troveremmo di fronte ad un autentico plagio d’antan.
E’ stato lo stesso Duilio Leremita, che viveva (appunto) da eremita, a consegnare infatti ai nostri eruditi il manoscritto originale – così almeno assicurava – della celeberrima “S’i’ fosse foco”, sottratta con l’inganno da Cecco a Ciucco in una notte di bagordi alcol e tempesta sulla baia della Biodola. Cecco aveva modificato solo leggermente il titolo, che nella versione originale vergata di suo pugno da Ciucco suonava “S’i’ fosse frocio”. E conseguentemente proseguiva: S’i’ fosse frocio, ‘nculerei lo mondo”. Per continuare sul medesimo terreno: “S’i’ fosse vento, l’inchiappetterei”, “S’i’ fosse acqua, l’infilzerei”, “S’i’ fosse Dio, ‘l cazzerei en profondo”. Molto più intensa questa versione, non vi è dubbio.
Comunque, svelato l’inganno. E restituito finalmente a Ciucco quel che è di Ciucco, dopo secoli di oblio, trascuratezza e maldicenza, non resta che rendergli gli onori che merita e riposizionarlo sul piedistallo letterario che gli spetta, dal quale era stato ingiustamente sfrattato.
Resta da dire di lui, Ciucco, come poeta e come uomo. Poco da dire, scrive il curatore nella prefazione. Le notizie sulla sua vita e le sue opere sono scarne, scarse e frammentarie, probabilmente anche a causa del perdurante equivoco identitario con quel fannullone di suo fratello Cecco, dedito più al culto di Bacco che a quello delle belle lettere. Al riguardo, non sono comunque giunte notizie che nemmeno Ciucco fosse astemio. Anzi.
I critici, assai pochi e poco illustri in verità, che si sono (a malavoglia e malamente) occupati di lui, parlano di “uomo dal temperamento ardente”, amante di donne, taverne e dadi, sempre gravato dai debiti, perseguitato e perseguito dalla legge, più volte multato e bandito, scavezzacollo, scapigliato, dalla vita gaudente e spensierata, segnata dalla sregolatezza e dalla dissipazione. Un disastro. Proprio come il fratello.
Riguardo alla sua poetica, i commentatori più accorti, tra i quali spicca la luminosa e incorrotta figura di Mario Marti (confronta “Ciucco Angiolieri e i poeti autobiografici tra il Duecento e il Trecento”, Galatina, 1946), non mancano di rilevare nei suoi sonetti “l’uso smodato della mimesi caricaturale”, oltre a uno stile tagliente e impetuoso, e a un tecnica “a catena” fatta di incipit iperbolici, introduzioni improvvise della battuta dialogata, conclusioni esclamative, sintassi impervia, lessico dialettale, uso scoperto e disinvolto di formule e figure retoriche, cadenze sentenziali e proverbiose, modulazioni scanzonate e motteggiatrici. Se non proprio dei capolavori, poco ci manca, insomma. “Con l’ampio utilizzo delle parodie –sentenzia autorevole il critico- Ciucco Angiolieri ha rovesciato tutti i caratteri propri dello stilnovismo”, che con la forza estrema della sua poetica ha abbattuto e cancellato per sempre dalla faccia della letteratura. Alla faccia!
Rimane ancora un mistero da risolvere nella vita del grande Ciucco Angiolieri. Un angoscioso enigma. Un dubbio atroce. Sono quei due punti interrogativi che compaiono nella sua biografia ufficiale al posto del luogo e dell’anno della morte. Ingenuamente si potrebbe ritenere che né l’uno né l’altro siano certi, come del resto è per il luogo e per l’anno di nascita. Sulla base di studi e testimonianze attendibili, l’autore ritiene che così non sia. E propende, piuttosto, per assecondare un’altra e non comune scuola di pensiero, sviluppatasi soprattutto presso alcune comunità alloctone di frati trappisti del Montenaro Durazzo, secondo cui il fatto che non vi sia certezza sul luogo e sull’anno della morte di Ciucco, potrebbe stare a significare che il poeta, in realtà, non sia ancora morto. E magari si celi, continuando disinvoltamente a poetare e petare, in qualche anfratto boscoso di quelli a lui così cari in gioventù.
Ad avvalorare questa tesi, è sorto più di un comitato, disseminato fra la montagna toscana e la laguna veneziana, d’indole assolutamente rivoluzionaria, che riporta notizia (www.ciuccoangiolierivivo.it) di alcuni avvistamenti del poeta in secoli recenti, e per l’esattezza nei dintorni di Pieve Tho a Brisighella in Romagna, presso l’Abazia di Monteombraro a Zocca sull’Appennino modenese, in campo San Maurizio, nei pressi della Basilica della Salute e negli anfratti bui di Palazzo Merati d’Audiffret de Greoux sulle Fondamente Nove a Venezia.
“Questo Canzoniere Infame –scrive Roberto Bianchin nella prefazione- vuol essere un sentito omaggio a un poeta scanzonato, scostumato e usurpato, che con le sue vecchie anticaglie rimarrà sempre nei nostri cuori”.
LA PAGELLA
Ciucco Angiolieri, Canzoniere Infame. Voto: 7,5