Soluzione
al quaranta
per cento
L’altra faccia della vittoria
Il dato più interessante della più grande gattopardata del terzo millennio, la vittoria del composito fronte del no al referendum costituzionale del 4 dicembre, è che Matteo Renzi ha preso il quaranta per cento dei voti, quasi tredici milioni e mezzo di elettori, su un’affluenza notevole del sessantacinque per cento. Gli altri, Massimo D’Alema, Beppe Grillo, Matteo Salvini, Silvio Papi Berlusconi, i partigiani, l’ultradestra parlamentare e i costituzionalisti, si dovranno spartire un magro (quando diviso) sessanta per cento.
Dimettendosi immediatamente, e attribuendosi la paternità della sconfitta, il presidente del consiglio uscente ha sicuramente consolidato molti dei suoi voti referendari: male che vada, con il passare del tempo, ne perderà un cinque per cento per strada. Ma si attesta, oggi, come il maggior partito personale nella storia nazionale. Un consenso nettamente superiore a tutti i precedenti e a tutti i presenti. Se si andasse a votare presto, come molti sconsiderati si augurano, Matteo Renzi sarebbe il primo partito d’Italia, con il trentacinque-quaranta per cento dei voti, seguito dai cinquestelle al trenta, e poi basta.
Molto probabilmente, però, non potrà andare alle elezioni all’interno del partito democratico, tafazzianamente e pervicacemente trapanato sotto la linea di galleggiamento dalle decine di caparbi autoaffondatori che lo affollano. Sarà necessario, per Renzi, abbandonare la nave. Visto che è impossibile tappare le falle e gettare fuori bordo la zavorra, o viceversa. Se si gioca bene le sue carte, cosa che ha sicuramente il coraggio di fare, potrebbe realizzare d’incanto la promessa e mai eseguita rottamazione dei democratici lasciando la nave dei folli in balia dei suoi nocchieri, quartiermastri, cambusieri, mastri d’ascia e cannonieri bramosi d’autolesionismo.
Avremo così un altro nuovo partito personale, legittimato dall’insipienza degli avversari interni ed esterni e dalla loro patente inadeguatezza al governo della nazione. Accecati dall’opportunità di far cadere il governo, una tentazione troppo grande per chiunque, i litigiosissimi antagonisti hanno vinto alla grande la battaglia referendaria, ma hanno regalato all’odiato Matteo Renzi un’opportunità d’oro di prendersi una schiacciante rivincita.
Purgati dei residui impazziti del purismo giuridico, i diciannove milioni e mezzo di Grillo, Salvini, Papi Berlusconi, Meloni, e D’Alema, sono un grande mare difficile da solcare, domare e gestire. Visto che stavolta, forse la prima volta in tutta la storia occidentale, la sconfitta non è orfana, ma la vittoria continua ad avere molti padri, ciascuno dei vincitori si attribuirà il merito di aver fatto cadere il governo (è dubbio che qualcuno di loro s’interessi davvero alla difesa dell’ordinamento costituzionale esistente in quanto tale). Sarà molto difficile però per ciascuno dei vincitori riuscire a convincere gli altri che invece hanno perso; e ognuno resterà a zappare furiosamente il proprio orticello elettorale, battendo sempre più le grancasse delle matite cancellabili, scie chimiche, complotti dei frigoriferi, uomini neri cannibali, tasse zero, e altre fesserie irresistibili che tanto attirano gli sprovveduti.
Intanto, purtroppo o magari per fortuna, ci attendono settimane di delirante campagna elettorale serpeggiante, che avrà le sue punte di massima ilarità quando in molti voleranno oltreoceano per atti di smisurato zerbinaggio nei confronti del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, ambìto alfiere per almeno metà del composito fronte del no. Ci toccherà sorbirci un governo semi-tecnico (in testa all’elenco della tristezza: il ministro dell’economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, il ministro della cultura Dario Franceschini) in attesa che la legislatura finisca, oppure che una tragica fatalità (tipo per esempio un autocecchinaggio dei democratici) faccia cadere il governo provvisorio prima del tempo.
C’è anche la spettrale eventualità dell’esercizio provvisorio, che non è un’attività ginnica pro tempore, ma una misura d’emergenza nel caso in cui il parlamento non sia riuscito a approvare il bilancio prima del 31 dicembre, cosa sempre possibile: si genera così uno zombie governativo con scadenza inesorabile al 30 aprile 2017.
È altamente probabile, così, che Matteo Renzi sfrutti i prossimi mesi per capitalizzare al massimo il quaranta per cento appena incassato. D’un tratto è diventato l’unico in grado di garantire ufficialmente le riforme: è evidente che moltissimi dei vincitori non vogliono alcuna riforma, a partire dal bicameralista D’Alema; è altrettanto evidente che alcuni, Grillo e Salvini, è meglio che proprio non si mettano a farle. Con questo voto è l’unico che rappresenta un’Italia europeista e moderna, democratica e progressista: cosa che non sono né Silvio Papi Berlusconi, la Meloni e ancor meno, ancora, Grillo e Salvini.
Con grande divertimento di molti il prossimo governo dovrà per forza fare un’ulteriore riforma elettorale, perché al momento la legge elettorale orrendamente chiamata Italicum, del luglio del 2016, funziona solo per l’elezione della camera dei deputati e non contempla l’elezione del senato, che la bocciata riforma costituzionale avrebbe dovuto trasformare in non eleggibile. Saranno mesi di parossistiche acrobazie funamboliche sulla corda tesa del proporzionale puro o on the rocks, del maggioritario con o senza peperoncino, sbarramento anticoncezionale ed altre meraviglie che ancora non possiamo immaginare.
Se invece si andasse alle elezioni anticipate, speriamo con matite indelebili e anche antipsicotiche, si andrebbe a votare con l’Italicum (che fa schifo solo a scriverlo) per la camera e con il Consultellum (che fa ancora più schifo da scrivere: proporzionale puro — senza seltz) per il senato.
In ogni caso il quaranta per cento dei voti è un pacchetto troppo grosso per lasciarselo sfuggire, anche se magari in questi giorni l’affabulatore fiorentino si sentirà un poco depresso per la cocente sconfitta.★