Tre gradi
di separazione
Acqua Granda e Referendum: davvero il Veneto e l’Italia salveranno Venezia?
Un novembre di acqua alta eccezionale continua, con un evento di vera acqua granda, fa ripensare all’imminente referendum di separazione tra Venezia e Mestre. E pone le basi per un percorso molto più difficile e importante: le tre separazioni di Venezia. Separazione da Mestre; separazione dal Veneto; separazione dall’Italia. In gioco, come tutto il mondo ha visto, c’è l’impossibile accordo tra Venezia e la Modernità.
VENEZIA — Il quinto referendum sulla separazione tra Venezia e Mestre era, fino all’11 novembre scorso (giorno di San Martino) una patetica sterile riproposizione del solito discorso, Venezia sì Venezia no (e la Terra dei Cachi). Perché era ed è e sarà, illusorio vano e anche un po’ idiota pensare che la divisione di Venezia da Mestre risolva come per incanto i problemi della città. Con tutto il rispetto, l’amicizia e l’affetto per tanti sostenitori del sì.
Persino l’esito della votazione appariva stancamente scontato, se si considera la disparità numerica tra gli abitanti del centro storico e della terraferma (quasi uno contro due). L’invito a restare a casa proclamato dal sindaco veneziano di terraferma, in verità con bassissimo spirito civico visto il ruolo, con ogni probabilità poteva vincere sulle pessime argomentazioni dei sì e dei no: perché la maggioranza dei cittadini di terraferma non ha alcun interesse riguardo alla separazione, come anche molti cittadini del centro storico.
Anche pensando a una votazione clamorosa, basata su infimi conti da bottegai, del tipo tutti al voto: centro storico e isole sì, terraferma no, indecisi nessuno, la maggioranza schiacciante avrebbe tenuto ancora unite città di laguna e città di terraferma. Cosa che può ancora accadere.
Ma l’acqua alta continua di un mese infernale, e un’acqua granda per un soffio non grandissima, hanno modificato tutto, hanno spostato le necessità della separazione non più solo in senso comunale, ma molto più ampio: regionale, nazionale, internazionale.
Acqua alta. Passerella carosello di ministri calciatori esponenti, nani vecchi e nuovi della politica nazionale, promesse milionarie, contrizioni e sorrisi, stato e chiesa riuniti nella tragedia.
Un vergognoso spettacolo che ha nel vergognoso orgasmo corale del completamento adesso o mai del Mose il suo vergognosissimo apice catartico (e anche un poco apotropaico).
Il costosissimo catorcio del Mose è il simbolo monumentale dell’incapacità e della bassezza culturale morale e civile di decenni di governo regionale e nazionale della città di Venezia.
È il simbolo dell’assoluta ignoranza della sprezzante sicumera di generazioni di amministratori, di ingegneri, di ministri, di tecnici che hanno imposto decisioni, idee, soluzioni, costosissime, folli, inutili, dannose, inservibili. Quasi sempre per superba ignoranza, frequentemente per osceno interesse.
Ora comincia la supercazzola dei miliardi e dei milioni: dei contributi a fondo perduto, dell’assistenzialismo becero di secoli di italici aiuti pelosi ai terremotati, agli alluvionati, ai disgraziati.
Ora comincia la retorica infame del tutto subito governativo, del testosterone dirigenziale dei tecnocrati da scrivania, della soluzione finale dei satrapi della burocrazia.
Ora comincia il carosello del ce l’ho più lungo io, io lo faccio meglio, io l’avevo detto prima.
Come se spendere miliardi fosse la soluzione a tutti i problemi; come se tutto andasse bene e bastasse compilare il modulo per il rimborso e tornare ad un’aurea normalità.
In gioco, però e invece, c’è ancora una volta lo scontro tra la Modernità e Venezia. Una Modernità italica di viadotti pericolanti o crollati, di grandi opere cadenti e cadute, di enormi mazzette e titanici sprechi, di continui salvataggi suicidi, di immense speculazioni e di oniriche chimere. Una Modernità che vuole Venezia guscio vuoto per passerelle di potenti e invasioni di turismo di massa, lavatrice di denaro internazionale, vetrina di lussi e paccottiglia. E ci sta riuscendo.
La separazione da Mestre non sarà sufficiente a sfuggire all’orda dei potenti che si appresta a salvare Venezia con la bava alla bocca e gli artigli di fuori.
Ed è folle pensare che i veneziani di oggi, tra cui ci sono stati e vi sono e ci saranno gli indefettibili e potentissimi ideatori fautori difensori del Mose, del turismo di massa, del porto industriale e per crociere in laguna; e vi sono i loro elettori filistei facitori alacri del degrado continuo della pizza al taglio, della pasta fresca, della paccottiglia in subappalto, dell’albergo totale; è folle pensare che i veneziani di oggi possano governare meglio Venezia da soli.
Sarà necessario, comunque finisca la votazione (azzardiamo che non raggiungerà il quorum, e l’anno prossimo ci toccherà votare di nuovo, ma magari come sempre sbagliamo) pensare molto seriamente al seguente quesito.
Dopo cento anni di questa Modernità che ci ha ridotto così davvero il Veneto e l’Italia salveranno Venezia?
Buon voto!