È la stampa bellezza

E tu non ci puoi fare niente

La progressiva scomparsa dei giornali di carta sembra non interessare (quasi) a nessuno. Ma è solo un momento di passaggio: da un mondo di carta a un mondo digitale. L’informazione di qualità non scomparirà. L’esempio virtuoso arriva dalla Francia, dove l’autorevole quotidiano Le Monde punta a un obiettivo clamoroso: un milione di abbonati digitali (ne ha già mezzo) per vivere ricchi e felici. «Sarà una rivoluzione – dice il direttore Jérome Fenoglio – con i ricavi molto più stabili e meno esposti ai rischi della pubblicità».

Humphrey Bogart in una foto promozionale di Deadline - U.S.A. (1952).

COSMOPOLI — Sono rimasti in pochi a piangere la progressiva scomparsa dei giornali di carta. Molto pochi. Sembra quasi che non importi nulla a nessuno. E probabilmente è così, segno dei tempi. Pensare che per mezzo secolo, dalla Liberazione agli albori del Duemila, le copie vendute dai quotidiani italiani, un’ottantina tra nazionali e locali, erano rimaste sostanzialmente le stesse, vicine ai sei milioni.

Tante, direte voi. No, poche. Voleva dire che, su una popolazione di sessanta milioni di italiani, comperava una copia di un quotidiano solo un italiano su dieci. Una delle percentuali più basse al mondo. Vero che poi la copia di un giornale passava per molte mani durante la giornata, almeno quattro a casa, in famiglia, almeno una decina al bar, di modo che si poteva dire che non ci fosse giorno in cui un italiano non avesse sfogliato le pagine di un giornale.

Però a far quadrare i conti delle imprese editoriali non servivano tutti quei lettori che leggevano a sbafo al bar e sul divano, ma quei pochi acquirenti che tiravano fuori un soldino per comperarlo all’edicola. Non a caso, per consolazione, invece di pubblicare i dati reali di vendita dei quotidiani (che fanno paura), oggi gli editori preferiscono pubblicare i dati di Audipress (una società di loro proprietà, peraltro), che certificano, bontà loro, un numero di sedici milioni di lettori di quotidiani.

Francamente ne dubito, ma calcolando tutti i lettori a sbafo (almeno otto per ogni copia comprata), potrebbe anche essere. Il punto è che non si vendono sedici milioni di copie al giorno (magari, non si sono mai vendute), ma che il totale complessivo dei cinquantasette quotidiani italiani rimasti ancora in vita (sedici nazionali oltre le ventimila copie e quarantuno locali), è sceso dai sei milioni di cinquant’anni fa a meno di due milioni oggi, con punte, per quelli più venduti, che difficilmente superano le centomila, quando negli anni Settanta la Gazzetta dello Sport per i mondiali di calcio e L’Unità con la diffusione militante della domenica arrivavano a toccare il milione di copie vendute. (Tra l’altro, con la progressiva scomparsa delle edicole, oggi è diventato quasi un’impresa riuscire a comperare un giornale).

È una tendenza ormai ben definita, indietro non si torna. I giornali di carta non scompariranno, ma si ridurranno sempre di più, di numero, di pagine e anche di contenuti (via le notizie, quelle si trovano sul web, spazio a commenti, analisi, inchieste e retroscena), per un pubblico adulto, colto e raffinato. Il futuro dell’informazione, quella generalista, per tutti i palati, corre sul web. Non sarà più sulla carta ma sul digitale.

E prima o poi anche gli idioti capiranno che l’informazione non ha nulla a che fare con le sciocchezze sputate sui social da milioni di mentecatti, ma ha bisogno, come quando c’era la carta, di giornali registrati, di direttori responsabili, di giornalisti professionisti capaci di filtrare, selezionare, pesare, ordinare e dare senso e priorità alle notizie, raccontando i fatti con onestà e usando magari la penna, quand’è possibile, invece della zappa. Quando capiranno questo, si renderanno anche conto che l’informazione di giornali on-line fatti da professionisti e garantiti da testate di pregio, non potrà mai essere gratis.

Ci vorrà del tempo, ma c’è da essere ottimisti. Un ottimo esempio arriva dalla vicina Francia, dove l’autorevole Le Monde, uno dei quotidiani migliori del mondo (592 giornalisti, 1.600 lavoratori tra giornalisti e personale in un gruppo che pubblica anche La Vie, Courrier International, Télérama), ha reclutato dall’inizio dell’anno 100.000 nuovi abbonati digitali, «una cosa mai successa prima nella nostra storia», ha detto il direttore Jérome Fenoglio, 54 anni, bisnonno piemontese. «Il boom degli abbonamenti si è accelerato negli ultimi tre anni e sta compensando ampiamente le perdite in altri settori – ha detto in un’intervista a L’Espresso – questo ci permette di essere molto ottimisti sul futuro. Concluderemo quest’anno con quasi 500.000 abbonati, a metà strada dall’obiettivo che ci siamo prefissati per il 2025. Un milione di abbonati sarà una rivoluzione: i ricavi saranno molto più stabili, meno esposti ai rischi della pubblicità».

È una bella notizia, che fa molto piacere e che indica una strada precisa, di questi tempi così grami per i giornali. In fondo, si tratta di adattarsi a un mondo che cambia, e quindi di capirlo e interpretarlo. Si è passati, nei secoli, dalla penna d’oca alla penna a sfera, dalla penna alla macchina da scrivere, dalla macchina da scrivere al computer, e adesso si passa dalla carta al digitale. Nulla di drammatico, solo un attimo di ambientamento (e magari anche un pizzico di nostalgia per chi ha una certa età). Cambiano i mezzi e gli strumenti, ma la musica da suonare resta sempre la stessa: una notizia rimane una notizia, un bel pezzo — un «pezzo scritto» come si diceva una volta — rimane un bel pezzo. E bisogna saperlo fare. Non è da tutti. È la stampa, bellezza! La stampa! E tu non ci puoi far niente! Niente! (L’ultima minaccia, con Humprey Bogart, 1952, regia di Richard Brooks).

LA PAGELLA


Quotidiani italiani. Voto: 6,5
Audipress. Voto: 5
Editori italiani giornali. Voto: 5
Le Monde. Voto: 7
Jèrome Fenoglio. Voto: 7,5
La Gazzetta dello Sport. Voto: 7
L’Unità. Voto: 7
Humphrey Bogart. Voto: 8
L’ultima minaccia. Voto: 7
Richard Brooks. Voto: 6,5

   

 

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