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Il Lunedì

Buongiorno commissario

Con quella faccia un po’ così

Roberto Bianchin

L’Italia ha di nuovo un governo. Un Premier apprezzato nel mondo. E ha estromesso i partiti politici dalla gestione e dagli affari della ricostruzione. Al via, un esecutivo di unità nazionale, troppo eterogeneo per compiere scelte politiche. Draghi dovrà porsi obiettivi limitati ma potenti: sconfiggere il virus e rilanciare l’economia del Paese. Ha tempo solo due anni. Poi è giusto, come si usa in democrazia, che la parola torni agli elettori.

PAESE ITALIA – Pur nelle angustie, ci sono almeno tre buoni motivi per essere soddisfatti. Il primo è che il Paese Italia ha un governo (dice il saggio, meglio il peggior governo di nessun governo). In assenza di monarchi, dittatori e capi tribù, un governo, anche qualsiasi, e di qualunque colore, è necessario per governare, vale a dire per affrontare i non pochi e non facili problemi che abbiamo.E per confrontarci a pieno titolo con l’Europa. Per ottenere rispetto e  considerazione, dimostrando di meritarceli.

Il secondo è che a gestire i soldi (molti, forse anche troppi) che ci darà l’Europa per uscire dal pantano, sarà un economista che ha guidato la banca centrale europea, stimato in tutto il mondo, anziché un oscuro avvocato pugliese senza identità, fino all’altro ieri perfettamente sconosciuto, disposto a guidare indifferentemente un governo di destra come uno di sinistra. E di questo, ci piaccia o no, dobbiamo dire grazie a quel birichino dispettoso di Renzaccio Renzi.

Il terzo – che ci dà sollievo – è che i partiti politici sono stati di fatto estromessi dalla gestione (e dagli affari) della ricostruzione del Paese, che sarà esclusivamente nelle mani, oltre che di Marietto Draghi, degli otto tecnici da lui scelti personalmente.

Potremmo fermarci qui. Basta e avanza, per ora, per una piccola iniezione di vaccino d’ottimismo. Quello che sorprende, però, è che i partiti politici italiani non sembrano ancora essersi resi conto pienamente della loro cocente sconfitta, e del fatto di essere stati per questo (giustamente) marginalizzati, quasi messi da parte. Non sono riusciti a tenere assieme una maggioranza di destra prima (con la Lega), né una maggioranza di sinistra dopo (con il Pd). Giusto che paghino il prezzo della loro incapacità. Non avessero fallito ogni obiettivo, oggi non ci sarebbe Marietto Draghi a Palazzo Chigi. Non un nuovo Premier (anche lui non è stato eletto da nessuno, e anche questo non è il massimo della democrazia), ma piuttosto un commissario. Un uomo solo al comando, con pieni poteri (o quasi), in un governo che non è più politico ma è di unità nazionale in un momento di emergenza. Giusto così. Inevitabile a questo punto, data la situazione. Bene ha fatto Sergione Mattarella a chiamarlo, toccando i tasti del drammone nazionale. Ma è stato un gesto estremo, di disperazione. L’ultimo prima delle urne (adesso non sarebbe stato il momento).

E bene ha fatto Mattarella (che è più democristiano di lui) anche a convincere Draghi a fare il contrario di quello che voleva fare. Il commissario (che non lo può dire ma in cuor suo disprezza i partiti, almeno questi partiti), aveva pensato di assegnare un solo ministro per ciascun partito. Il capo dello Stato lo ha convinto invece a dargliene tanti, tre o quattro per ciascuno, magari marginali, possibilmente senza portafoglio, in modo da tenerseli buoni almeno per un po’ e sentire meno brontolii e mali di pancia, che comunque, statene certi, ci saranno, e anche presto.

Certo, Marietto Draghi, con quella faccia un po’ così, ha sulla carta una maggioranza molto larga (tutti dentro, tranne i fasci della Meloni), ma proprio perché molto eterogenea, gli impedirà di fare molte scelte. Difficile, per dire, anche per uno abile come lui, far andare d’accordo leghisti e sinistri sui temi dei migranti, come grillini e berlusconiani su quelli della giustizia.

Sarà meglio che Draghi si prefigga solo pochi, pochissimi obiettivi. Che si riducono a due sostanzialmente, ma prioritari e fondamentali: sconfiggere il virus e risollevare l’economia del Paese. Salute e valute, hai detto niente. E dovrà anche darsi un tempo limitato: due anni. Solo due anni. Perché nel 2023, alla scadenza naturale, è giusto che si ripristino nella loro interezza i riti, pure logori (ma non ne esistono di meglio) della democrazia.

Per i due anni a venire sarebbe saggio che i partiti si imponessero una tregua, nel nome dell’interesse superiore del Paese, e lasciassero lavorare tranquillo il commissario senza mettergli troppi bastoni tra le ruote, nella speranza che sappia risolvere il caso. Poi è giusto che la lotta politica riparta, che le fazioni si dividano, che i cittadini vadano a votare, che il partito che prende più voti governi, e che il suo leader faccia il premier. Marietto Draghi potrà tornare a coltivare il suo orticello a Città della Pieve, se ci avrà tirato fuori dai guai gli saremo grati.

Restano, sullo sfondo, due questioni marginali. La prima: poche donne nel governo? Adesso abbiamo altro a cui pensare, scusate tanto. La seconda: cosa farà Giuseppi Conte? Irrilevante, anche questa, sia che vada a condurre il Grande Fratello che a presiedere la bocciofila di Volturara Appula. Quello che ci mancherà, per il nostro spasso quotidiano, sarà il suo spettacolare maggiordomo.  

LA PAGELLA

Sergio Mattarella. Voto: 7,5
Matteo Renzi. Voto: 7
Giuseppe Conte. Voto: 5,5
Mario Draghi (Bce). Voto: 7
Mario Draghi (Premier). Voto: ng

Febbraio 2021

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