Tutti a casa

La guerra giusta

Il ritiro delle truppe americane e alleate dall’Afghanistan dopo una guerra inutile durata vent’anni che ha provocato decine di migliaia di vittime tra civili e militari, apre molti interrogativi e scenari inquietanti. Non erano bastati, in precedenza, dieci anni di guerra con l’Unione Sovietica. Identico il risultato: un fallimento. Come sono falliti tutti i tentativi di esportare i modelli delle democrazie occidentali in Paesi che non sanno cosa farsene.

William Barnes Wollen  (1857–1936) L'ultima difesa del 44. Reggimento a Gundamuck, 1842 - prima guerra anglo-afgana.

COSMOPOLI – La guerra è finita, tutti a casa! L’entusiasmo scoppiò rapidamente tra i militari italiani l’otto settembre del quarantatré, quando la radio diede la notizia. La meravigliosa, tragica figura del sottotenente del Regio Esercito Italiano Alberto Innocenzi (uno strepitoso Alberto Sordi nel film di Luigi Comencini Tutti a casa, 1960), mi è tornata alla mente da un anfratto della memoria nel preciso momento in cui il presidente americano Joe Biden ha annunciato, per un altro giorno di settembre, l’undici, nel ventesimo anniversario della strage delle Torri Gemelle, il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan.

La prima reazione è stata di sollievo, uguale a quella di quei soldati. Finalmente. La seconda, di perplessità: non ho mai capito perché ci sono state tante manifestazioni contro la guerra nel Vietnam e poche contro la guerra in Afghanistan. La terza, di dolore e sgomento, al pensiero di quanti, civili e militari di un fronte e dell’altro, sono morti in questa maledetta guerra cominciata il sette di ottobre del duemila e uno e durata vent’anni. Ve lo dico subito: 3.541 soldati morti, 140 mila almeno (ma c’è chi spinge la cifra sino a 340 mila) tra i civili. Come aver ucciso una città intera grande come Cagliari. O come Foggia, Livorno, Ravenna, fate voi. Le cifre non sono esatte, si tratta comunque di decine di migliaia di morti. La stragrande maggioranza, gente che non aveva alcuna colpa. Che in un modo o nell’altro, a torto o a ragione, serviva un Paese, una fede, una divisa. E anche (e soprattutto) gente che non serviva proprio nessuno.

E allora la domanda sorge spontanea. È una sola. Semplice semplice. Ed è d’obbligo. Sono serviti a qualcosa tutti questi morti? Hanno risolto qualche problema laggiù in Afghanistan? Hanno sconfitto la fame? Le malattie? Il terrorismo? Hanno migliorato la vita di quel popolo? Quella degli americani? La nostra di cittadini europei? Domande retoriche, lo so. Blowin’ in the wind, la risposta sta soffiando nel vento (Bob Dylan, 1962).

Vorrei poter chiedere a quell’unico soldato lituano morto combattendo in Afghanistan se sa per cosa è morto, a cosa è servito il suo sacrificio, magari adesso potrebbe starsene bello tranquillo a farsi una vodka al bar sotto casa. Vorrei poterlo chiedere a quell’unico soldato albanese, all’unico soldato montenegrino. Vorrei chiederlo ai 2.403 soldati americani morti, ai 455 inglesi, ai 158 canadesi, agli 88 francesi, ai 57 tedeschi, ai 53 italiani, ai 43 danesi, ai 40 australiani, ai 38 polacchi, ai 35 spagnoli, ai 27 georgiani, ai 25 olandesi, ai 23 romeni, ai 14 turchi, agli 11 neozelandesi, ai 10 norvegesi, ai 9 estoni, ai 7 ungheresi, ai 5 ceki e svedesi, ai 3 lettoni e slovacchi, ai 2 finlandesi, portoghesi, sudcoreani.

Ma loro almeno sapevano che vestendo una divisa correvano il rischio di andare a morire. I 140 mila civili, o 340 mila che fossero, o non importa quanti, invece no. A loro, quantomeno alla stragrande maggioranza di loro, non importava niente di questa sporca guerra. Volevano soltanto vivere, o sopravvivere, come qualsiasi altro essere umano di qualsiasi altra parte del pianeta. Avere un tetto sopra la testa, qualcosa da mangiare nella dispensa, magari un lavoro, dei figli, dei nipoti. No, l’acqua corrente, no. No, l’elettricità no, troppo lusso. Troppo lusso anche la vita.

E prima? Sempre stato così, da quelle parti. Chi si ricorda più dell’altra guerra che insanguinò l’Afghanistan, quella contro l’Unione Sovietica, un altro gigante del mondo? Fu un’altra guerra sporca, sanguinosa, delirante, che durò dieci anni, dal 1979 al 1989, provocò la morte di 75-90 mila soldati (di cui 26 mila sovietici e 18 mila della Repubblica Democratica dell’Afghanistan), e di almeno 600 mila tra i civili (ma c’è chi spinge la stima fino a due milioni di vittime). In aggiunta, 3 milioni di feriti e 7 milioni di profughi.

Cosa se ne deduce dopo trent’anni di violente battaglie e un bottino di  818.500 morti nella migliore delle ipotesi, e di 2.430.000 morti nella peggiore? Che l’Afghanistan, dove le due superpotenze mondiali hanno clamorosamente perso la guerra contro una banda di miserabili straccioni, sarà per via di un territorio impervio pieno di trappole e nascondigli che neanche i vietcong, o sarà per via della mostruosa tenacia e resistenza delle popolazioni indigene, è davvero la tomba degli imperi, come dice il presidente americano?

Può darsi. Di sicuro, al di là delle ragioni, sia legittime che pretestuose, della lotta alle radici del terrorismo mondiale (per nulla sconfitto, peraltro, anche ammesso che abitasse proprio lì), e del fatto che non esistono guerre giuste, c’è da prendere atto che è fallito miseramente il disegno di esportare i modelli delle democrazie occidentali in un Paese che ne è storicamente e culturalmente molto distante (non è certo l’unico), e che probabilmente (quasi certamente) non li ha proprio, né intende averli, come modelli.

Dunque, cosa succederà adesso? Nulla di nulla. Tutto procederà come prima a quelle latitudini. Manterranno intatti i loro usi e costumi (anche quelli tribali) che hanno così eroicamente difeso per tantissimi anni, e le loro tribù continueranno ad amarsi, odiarsi e farsi la guerra coi cannoni e con le frecce. L’unica differenza è che non avranno più intorno né russi né americani né altri. E (purtroppo) rimarranno poveri come sono sempre stati. L’elettricità e l’acqua corrente ancora non arriveranno. Probabilmente neanche i vaccini. E nessuno ci andrà mai in vacanza. Adieu Kabul. Che qualcuno, comunque, in qualche modo, ti protegga.

LA PAGELLA

Afghanistan (per la resistenza alle invasioni straniere). Voto: 8
Afghanistan (per la protezione accordata al terrorismo internazionale). Voto: 4
Usa (per la guerra in Vietnam e in Afghanistan). Voto: 4
Unione Sovietica (per la guerra in Afghanistan). Voto: 4
Joe Biden (per il ritiro delle truppe Usa dall’Afghanistan). Voto: 8
Alberto Innocenzi (Alberto Sordi) e Luigi Comencini. Voto: 8
Tutti a casa (inteso come film). Voto: 8
Bob Dylan. Voto: 8
Blowin’ in the wind (intesa come canzone). Voto: 8

 

 

 

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