Bestiario della crisi
L’anatra zoppa e il grullo parlante
Adesso comincia il ballo (non il bello). Anziché conclusa, questa delirante crisi di governo, comincia proprio ora. Con un premier dimezzato (l’anatra zoppa) che ha perso per strada un partito (Italia Viva) insieme a forza e credibilità, sia in Italia che in Europa, e rischia di cadere al primo inciampo, e uno sfidante (il grullo parlante) che voleva contare di più e adesso non conta più nulla. Arrivare in queste condizioni al 2023 sembra un miraggio, con il Paese pronto a consegnarsi alle destre peggiori della sua storia democratica.
PAESE ITALIA – Conte si è indebolito e Renzi si è affondato. Al netto delle diverse opinioni, tutte lecite ci mancherebbe, è l’unico risultato certo di una crisi di governo che il voto in Parlamento non ha chiuso, com’era nelle aspettative di molti, ma ha invece aperto ufficialmente e certificato senza appello. Fosche nubi si addensano adesso sul futuro del Paese.
Giuseppe Conte, che ha perso per strada un partito della sua maggioranza (Italia Viva) che era indispensabile a garantirgli una navigazione sicura, al riparo dalle tempeste, adesso farà molta fatica a continuare a governare, rischiando di cadere ad ogni passo, ad ogni votazione. E il suo peso politico, ormai ridotto al minimo, non lo aiuterà certo nel difficile confronto che ci attende con l’Europa che già ci squadra con cipiglio severo, qualche sospetto, e come sempre con un pizzico di scherno e di disprezzo (sentire cosa dicono i tedeschi e leggere cosa scrive il Frankfurter Allgemeine).
Dall’altra parte della barricata, Matteo Renzi, che ha aperto la crisi con il proposito di portare a casa qualcosa di buono per sé, per il suo partito e per il suo Paese, non si porta a casa nulla tranne che il suo personale fallimento (gli era già capitato, peraltro). Riesce soltanto a indebolire l’esecutivo, e quindi anche il Paese. Si tira fuori dal governo e si riduce all’irrilevanza. Con il rischio (per lui) che tra un paio d’anni, quando si andrà a votare (ma probabilmente anche prima), del suo partitino non sarà più rimasta traccia. Meglio avrebbe fatto a restare al governo, pure brontolando, pure in posizione critica e polemica. Non avrebbe messo in difficoltà il Paese, qualcosa avrebbe comunque lucrato, e un contributo, magari piccolo, avrebbe anche potuto darlo.
Ne usciamo, come Paese, comunque male. Aver provocato questa crisi rimane un gesto irresponsabile, in un momento come questo in cui siamo travolti da una bufera sanitaria mai vista e stiamo combattendo una guerra contro un nemico invisibile che con uno stupido virus sta facendo più morti della guerra vera, quella coi cannoni e con le bombe. Un momento buio, in cui il peggior governo (e comunque quello attuale non è dei peggiori) è sempre meglio di nessun governo, come anche di un governo fragile, di una tensione continua, di una lunga crisi strisciante e di un drammatico vuoto di potere. Se ci sono conti da regolare (e ci sono), andavano regolati non dico aspettando le prossime elezioni, ma almeno aspettando la fine dell’epidemia.
«In questa crisi di governo, aperta probabilmente nel momento più sbagliato possibile, un solo elemento spicca: tutti ne escono perdenti», scrive con acutezza Claudio Tito su Repubblica. «E l’intero sistema politico si offre all’opinione pubblica nel suo impazzimento. Mostra cioè una maggioranza vocata al suicidio e una opposizione incapace non solo di essere una valida alternativa ma anche di capire come il mondo sia cambiato negli ultimi mesi. La coalizione che sostiene Conte infatti è indubbiamente più debole. I suoi numeri in Parlamento rendono sostanzialmente impossibile governare. Una qualsiasi riforma, anche la più piccola, sarà una sorta di utopia. Il pantano è davanti ai piedi del Premier». Severo, da parte di Corrado Augias, sempre su Repubblica, anche il giudizio su Renzi: «Ha contribuito al bene del Paese con le sue giuste osservazioni, l’insistenza nell’adozione del Mes. Se si fosse fermato al suo contributo avrebbe meritato riconoscenza. La sua ingordigia invece lo ha ancora tradito».
Ma per capire le ragioni della crisi, è necessario analizzare l’operato del governo Conte. Lo fa benissimo Marco Damilano su L’Espresso: «Dopo quindici mesi di governo insieme il Movimento 5 Stelle e il Pd non sono riusciti a diventare alleanza politica, si sono compattati su un’emergenza imprevista e spaventosa e sul mantenimento di posizioni di potere enormi e insperate, con la guida di un Premier che ha fatto della sua identità indistinta e mutevole il suo punto di forza. Tutto questo, però, non è un progetto di futuro. Quando è arrivata l’offensiva di Matteo Renzi, Giuseppe Conte ha scoperto di non avere punti fermi, di essere privo di principi non negoziabili. Tutto si può negoziare, il Recovery Plan, la delega sui servizi, i posti di governo, con le ministre che ruotano nel toto-rimpasto. Anche questa è una mancanza di visione politica, una indifferenza a tutto quello che non sia la pura permanenza al potere. Perché a nulla in fondo si crede se si è governato sia con Matteo Salvini che con Nicola Fratoianni. Tutto è stato messo sul tavolo della trattativa, tutto tranne la posizione di comando del Premier».