«Senza gli animali
il circo non esiste»
parola di Ranieri
Un’edizione super al Festival di Montecarlo
In occasione della quarantesima edizione del Festival internazionale del circo di Montecarlo, pubblichiamo una delle rare interviste del Principe Ranieri di Monaco, ideatore della manifestazione. La concesse nel 1996 al giornalista italiano Roberto Bianchin per il quotidiano La Repubblica. Parole di vent’anni fa che sembrano di oggi. Ben sei gli italiani in pista quest’anno: Flavio Togni, Massimiliano Nones, Willer Nicolodi, Fumagalli, i Rastelli, i fratelli Pellegrini. Una sfilata dei migliori numeri premiati negli anni scorsi, senza gara. Uno show senza eguali al mondo.
MONTECARLO – Invece di fare la guerra ai circhi, gli animalisti farebbero meglio a occuparsi dei tori delle corride, dei galli da combattimento, delle foche massacrate e dei cani abbandonati. Lasciando perdere gli elefanti e le tigri. Perché non sarebbe più un circo, quel tendone senza gli animali. Si trasformerebbe in un’ altra cosa, diventerebbe un music-hall.
E se diventano sempre più rari anche gli artisti di valore e i numeri di qualità, il circo è destinato a sparire. Parola di uno che se ne intende, Ranieri III, Principe di Monaco, Principe del circo. Un principe che amava i cavalli come amava i trapezisti. Un principe che sognava di dipingersi il volto e di scendere in pista con un vestito da clown.
Ranieri, che amava il circo fin da quand’era ragazzo, conosceva bene la crisi che ha colpito il più antico spettacolo del mondo. Fin da quando, negli anni Settanta, decise di organizzare un festival internazionale del circo, che quest’anno, dal 14 al 24 gennaio, celebra il suo quarantennale con un’edizione super che vede in pista (stavolta senza concorso) i numeri migliori premiati negli ultimi anni.
Tra questi, ben sei italiani, a dimostrazione di quanti circensi italiani di valore vi siano a dispetto della crisi del circo nel nostro Paese: i clown Fumagalli (Gianni Huesca, per l’anagrafe) e Rastelli, l’addestratore Flavio Togni, il domatore Massimiliano Nones, il ventriloquo Willer Nicolodi, e gli acrobati fratelli Pellegrini.
Negli anni, quella di Montecarlo si è affermata come la più importante vetrina del mondo per gli artisti del settore. I «clown d’ oro» che vengono assegnati valgono come gli oscar nel cinema. L’intervista che segue sembra scritta oggi, ma è di vent’anni fa. Il Principe Ranieri me la concesse nel 1996, in occasione della ventesima edizione del festival, che seguivo (e seguo) come critico ogni anno, e venne pubblicata sul quotidiano La Repubblica, dove ho lavorato per ventitré anni come inviato speciale.
«Il circo era in pericolo – spiegava il Principe Ranieri – a causa di un calo del suo valore artistico, e soffriva la disaffezione del pubblico. Per questo ho voluto dare al circo un riflettore, per valorizzarlo e per richiamare l’ attenzione del pubblico. Ho pensato che era giusto che il circo, come altre discipline artistiche, avesse un proprio festival».
Principe Ranieri, lei preferisce gli spettacoli tradizionali o quelli più innovativi?
«Amo il circo tradizionale, con una pista sola, sotto un tendone, ma questo non mi impedisce di pensare che innovare è necessario, e anche modernizzare la presentazione, il modo di scendere in pista e la coreografia dello spettacolo. Gli stessi artisti devono cercare di rinnovarsi».
Devono anche rinunciare agli animali?
«Sulla questione vi sono torti e ragioni da una parte e dall’altra. Se al circo non ci fossero più gli animali, il circo diventerebbe un music-hall. Non bisogna generalizzare. Ci sono, ne convengo, dei brutti numeri di animali, con un addestramento fatto male e che si presentano male in pista, ma ci sono, sempre di più, dei buoni numeri in cui il gioco e la complicità tra l’ uomo e l’ animale sono evidenti. E poi la stragrande maggioranza degli animali esotici o selvaggi che vengono presentati sono nati in cattività, e quindi non hanno alcun ricordo della savana o della boscaglia. I loro proprietari devono presentare un certificato che attesti che sono nati in cattività, altrimenti non troveranno degli ingaggi. Fuori dal circo, conosco ben pochi tipi di addestramento che non siano basati sul timore, tranne quello dei cani, dei cavalli, delle scimmie, che peraltro sono commedianti nate».
Gli animalisti non la pensano così.
«È facile dare addosso al circo. Ma non si fa nulla per eliminare la crudeltà e l’atroce brutalità del trasporto e del trattamento degli animali destinati al mattatoio. Un modo di fare del tutto inutile e motivato dalla sola cattiveria dell’uomo. Cosa dire poi dei centomila cani abbandonati dai loro proprietari sulle sole strade di Francia, quando partono per le vacanze? Cosa dire dei combattimenti dei galli e dei cani, che sono mantenuti in vita nel nome della tradizione? E della corrida che attira tanta gente? E del massacro delle piccole foche con metodi primitivi e selvaggi? Gli animali che formano dei buoni numeri di circo sono tenuti, curati e nutriti tutti i giorni con attenzione e affetto».
In proposito, come vi siete regolati a Montecarlo?
«Ci informiamo, prima di scritturare i numeri, sulla qualità degli animali, sull’ambiente in cui vivono, su come vengono trattati e su come vengono presentati in pista, naturalmente. Noi esigiamo che le gabbie e i camion per il trasporto siano sufficienti, e che una volta sul posto gli animali abbiano abbastanza spazio per muoversi liberamente».
Il circo non è un mondo romantico che non esiste più?
«No, il circo è un divertimento, e la gente che vi lavora è gente che ha scelto una vita difficile, che deve mostrare ogni sera quello che sa fare, e che merita un grande rispetto. Perché il loro lavoro è un’arte, e perché si guadagna la vita rischiando la vita ogni giorno. Al circo non puoi barare, è questo che lo rende unico».