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Parmacotta

C’è un’arietta frizzante a Ferrara. A Parma invece spira un venticello mesto. Curioso. Non solo perché sono due città vicine dell’Emilia felice dove – non è una leggenda ma una realtà – la qualità della vita, in molti sensi, è piuttosto alta. Molto più alta che nel resto del Belpaese. Come anche in Romagna, per la verità. No, quello che colpisce è la sensazione. Solo una sensazione. Ma netta, nettissima. Quasi palpabile.

Roberto Bianchin

Parma e Ferrara hanno due centri storici bellissimi. Ben tenuti. Curati. Restaurati. Le città sono vivibili e civili. Sembrano anche abbastanza sicure, e la sera sono piene di giovani che affollano i locali fino a tardi. Ci sono teatri e spettacoli. E si mangia bene, a prezzi onesti, quasi ovunque. Ma a Ferrara sorridono, sono briosi, allegri, gentili. A Parma no. A Parma sembra tutto più cupo. Anche i sorrisi. Sembrano stanchi anche gli sguardi e i gesti dei camerieri e dei portieri d’albergo.

Per dirne una, lo storico Teatro Regio, fra i più importanti d’Italia, soffre una lugubre agonia. Non ha neanche più l’orchestra, perché non riusciva a mantenerla, e nel cartellone della stagione, che dura un anno intero, ha la miseria di cinque opere liriche. Non parliamo del magnifico Teatro Farnese, che sta a fianco moribondo, praticamente inutilizzato, che propone per tutto il 2016 appena tre spettacoli, e nemmeno dei migliori. Fortuna che almeno resiste, e fa ancora spettacoli, sostenuto dal Comune, lo splendido museo dei burattini della famiglia Ferrari.

La città sembra stanca, avvilita, sgomenta. Sconfitta. «Scandali Parmalat, Parmacalcio, Parmadeficit. La crisi. Il crollo di autostima. La fine di un’identità. Parmacrash!». Vittorio Testa, prestigioso giornalista di grandi testate, da Repubblica a Mediaset, nato proprio nelle terre verdiane, sintetizza così il tramonto del regno di Maria Luigia.

«Era la Parma delle violette – scrive in un editoriale su  La Gazzetta di Parma – Con l’eccezione di alcune grandi e note imprese e del settore agroalimentare, è diventata la Parma dei crisantemi: sepolte le ambizioni, dissolti i miti, deteriorati i costumi, la capitale del Ducato, la “Atene d’Italia”, si è ripiegata su sé stessa». Certo, la crisi è generale, aggiunge il giornalista, ma il malessere parmigiano, a suo parere, ha toni e tinte ancor più sconfortanti nello smarrimento di una comunità un tempo di proverbiale cultura e raffinatezza. «La parmigianità è diventata come l’araba fenice, che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa».

Concorda con lui un altro importante giornalista di testate nazionali, come Michele Brambilla, neo direttore della  Gazzetta, che è il più antico giornale italiano: «Il rimpianto del passato e la preoccupazione per il futuro, quando non la sfiducia, sono oggi i sentimenti dominanti». Il direttore però non si scoraggia. «Fermarsi a rimpiangere il passato non serve a nulla. È invece il momento di reagire. Basta piangere. Bisogna rialzarsi».

Giusto. Dopo pioggia viene sole, come diceva il tecnico filosofo Vujadin Boskov. Il fatto è che, prima di rialzarsi, bisognerebbe capire perché si è caduti. E anche perché, per esempio, Parma è caduta e Ferrara no. Perché a Ferrara il clima e l’atmosfera sono molto diversi. Perché a Ferrara ridono e a Parma mugugnano. Forse non sarà solo merito della salama da sugo.★

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Mar, 12/01/2015 - 12:00
Ritratto ufficiale di Maria Luigia d'Austria come duchessa…

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