Stragi di parole

Ogni mese a Milano muore una libreria. Muore nel senso che chiude. Per non riaprire mai più. Proprio a Milano, che è la capitale italiana dell’editoria, dove hanno sede le maggiori e più prestigiose case editrici. Milano che è vicina all’Europa, come cantava Lucio Dalla, e che è anche una delle capitali europee del libro. È ormai un’ecatombe. Una strage di parole e di pagine stampate senza precedenti, che non sembra destinata ad arrestarsi.

Eppure nessuno piange. Nessuno si dispera. Nessuno grida. Nessuno protesta. Niente cortei, niente manifestazioni di piazza, niente appelli, campagne di stampa, dibattiti televisivi, raccolte di firme o di denaro. Neanche lettere ai giornali. Niente di niente. Come se la morte del libro non interessasse a nessuno. E forse è proprio così. Forse non interessa davvero a nessuno. Siamo giunti all’ultimo capitolo. Amen.

L’ultima a chiudere i battenti, dopo più di cinquant’anni di vita, è stata la libreria Puccini di corso Buenos Aires, dall’aspetto confortevole e vecchiotto, piena di libri di scuola, fondata nel 1963 dalla famiglia Nanni.

Prima di lei avevano salutato i lettori la Libreria del Corso a San Gottardo, la libreria  Libri e Dischi di Piazza Piola, la Feltrinelli dell’Upim di via Polesine, che era l’ultima libreria rimasta nel popolare quartiere Corvetto, la storica  Librerie Riunite aperta in via Dante fin dal 1945, che fu la prima a vendere i libri un tanto al chilo (costavano 12.900 lire).

È scomparsa persino la leggendaria  Milano Libri di via Verdi, a due passi dalla Scala, dove nacque nientemeno che la rivista  Linus, e che era stata fondata nel 1962 dal disegnatore Giovanni Gandini e dalla moglie Annamaria Gregorietti, ed era diventata in breve tempo un punto di riferimento irrinunciabile per gli appassionati delle storie a fumetti.

Solo l’anno scorso hanno chiuso quindici librerie a Milano. Più di una al mese. E lo stillicidio continua. «È un bagno di sangue», ha detto il segretario dell’associazione librai di Milano Paolo Uniti a Maria Egizia Fiaschetti delle pagine milanesi del Corsera. Una tendenza che nessuno sembra in grado di invertire.

Le cause? Semplicissime. Le librerie chiudono perché si vendono sempre meno libri. Punto. E tenere aperta una libreria non conviene più. I guadagni, sempre più ridotti, non sono più sufficienti a pagare l’affitto dei locali, lo stipendio ai dipendenti, le tasse e le altre spese, dalla luce al riscaldamento. Pensare che la libreria Puccini, l’ultima a chiudere, aveva solo cinque dipendenti. Mica cinquanta.

I librai dicono che pesano, nel crollo delle vendite dei libri, la concorrenza della grande distribuzione (vale a dire i libri venduti nei supermercati), e la concorrenza della rete, sia per la presenza di mega rivenditori online fornitissimi di ogni titolo, anche dei più antichi e bizzarri, sia la concorrenza dei libri in formato digitale.

In realtà il mercato dei libri elettronici non è ancora decollato, almeno in Italia, dove fa registrare percentuali di venduto piuttosto basse, attorno al 4 per cento, quando il calo del venduto dei libri di carta si assesta su percentuali molto più alte, variabili dal 30 al 40 per cento.

Difficile pensare dunque che il pesante calo delle vendite di libri in libreria sia compensato interamente dall’aumento consistente di vendite di libri online o nei supermercati. Si vendono semplicemente sempre meno libri, di carta o non di carta.

Forse sarà il caso che cominciamo a chiederci se non stiamo per caso diventando (o tornando ad essere?) un Paese ignorante. Qualche sospetto, in fondo, l’avevamo anche prima.

LA PAGELLA
Libreria Puccini di Milano: voto 8

In Italia si vendono sempre meno libri (foto: sushi-natka…

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