Il papà di Indiana Jones
e la mummia
del coccodrillo

Le funamboliche avventure dell’esploratore padovano Giovanni Battista Belzoni

La storia dell’uomo che ispirò l’Indiana Jones cinematografico raccontata nella mostra «Venezia e l’Egitto» a Palazzo Ducale

VENEZIA (r.b.) – Nelle vecchie immagini, con quella faccia un po’ così, gli stivaloni di pelle e un cappellaccio sgualcito in testa, sembra uscito da un film di George Lucas e Steven Spielberg. Invece è stato lui a ispirare le avventure dell’Indiana Jones cinematografico. Un italiano. Un padovano, per la precisione, un padovano vissuto a cavallo tra il ‘700 e l’800, che fu il primo grande esploratore della storia, uno dei padri dell’archeologia, a cui si devono le scoperte più clamorose e le imprese più audaci in terra d’Egitto.

L’incredibile storia del papà di Indiana Jones, che si chiamava Giovanni Battista Belzoni, ed era nato a Padova nel 1778, sono narrate nella bella mostra «Venezia e l’Egitto« curata da Enrico Maria Dal Pozzolo, Rosella Dorigo e Maria Pia Pedani, aperta a Palazzo Ducale fino al 22 gennaio, per iniziativa del Comune di Venezia, della Fondazione Musei Civici e dell’Autorità Portuale.

Accanto a quadri, stampe, mappe, documenti, oggetti, e persino la mummia di un coccodrillo, incarnazione del dio Sobek signore delle acque, recuperata in una grotta di Asiut da un altro esploratore, Giovanni Miani, sono numerose le tracce delle funamboliche avventure di Belzoni. Che era un personaggio davvero singolare. Perché prima di inventarsi esploratore aveva fatto mille mestieri in giro per l’Europa.

Barbiere a Padova nella bottega del padre, studioso di idraulica a Roma, venditore di oggetti sacri a Parigi, acrobata – ingaggiato per numeri di forza grazie alla sua possanza fisica – al Sadler’s Well, al Drury Lane, al Covent Garden, all’Astley’s Royal Amphiteatre of Arts di Londra, e quindi in vari teatri di Edimburgo, Aberdeen, Dundee, e poi in Irlanda, in Spagna, in Portogallo.

La svolta della sua vita arrivò a Malta, nel 1814, quando conobbe Ismael Gibraltar, un agente che Mohammed Alì, il pascià d’Egitto, aveva inviato in giro per il Mediterraneo ad ingaggiare tecnici che potessero sostenere il suo piano ambizioso di sviluppo del paese. Il papà di Indiana Jones non ci pensò due volte e si gettò a capofitto nella nuova avventura. Quella che gli avrebbe segnato la vita per sempre.

L’anno dopo arrivò ad Alessandria d’Egitto, mentre infuriava una terribile pestilenza, e di qui al Cairo, dove si mise subito al lavoro per progettare una grande macchina idraulica che doveva essere installata nei giardini del pascià. Ma l’esperimento non ebbe alcun successo. La macchina ruggiva e sputacchiava ma non funzionava. Nonostante questo primo fallimento l’ex acrobata non si perse d’animo e cominciò a lavorare a un’altra folle impresa: trasportare sulle rive del Nilo un gigantesco busto del faraone Ramsete II che pesava la bellezza di 7,25 tonnellate.

Il busto, adagiato su un letto di travi e fatto procedere inserendo rulli di legno sotto le travi mano a mano che la macchina avanzava, doveva arrivare sulle rive del Nilo e viaggiare da Tebe fino a Luxor per poi finire a Londra, al British Museum. Questa impresa, dopo innumerevoli vicissitudini, ebbe successo. Il gigantesco busto arrivò a Londra nella primavera del 1818.

Ma Belzoni, nel frattempo, era stato attratto da altre meraviglie. Come la magica città di Abu Simbel. Qui c’era un tempio, quello di Ramsete II, il più grande, ancora quasi completamente coperto dalla sabbia. «Devo entrarci», esclamò Belzoni. L’impresa sembrava sovrumana. Reclutò un esercito di uomini, scontrandosi sia con la loro scarsa propensione al lavoro, sia con l’indifferenza dei cacheff del luogo, i rappresentanti del potere centrale. Ci furono, anche qui, mille vicissitudini, e i lavori furono sospesi più volte. Finché, finalmente, Belzoni riuscì nel suo intento. Il primo agosto del 1818 penetrò nel tempio «il cui interno maestoso lo lasciò attonito».

Tra le altre sue molte imprese, ritrovò anche a Karnak, nel tempio di Montou, una statua colossale che poi verrà identificata con la rappresentazione di Tutmosis III, e nella Valle dei Re scoprì una tomba, quella del grande faraone Sethi I, che lo renderà famoso in tutta Europa. «A fortunate day, one of the best perhaps of my life», scrisse nelle sue memorie. Non contento, riuscì anche a penetrare nella piramide di Chefren e a recuperare a Philae un antico obelisco.

La sua ultima impresa fu la risalita del fiume Niger nel tentativo di arrivare alla mitica città di Timbuctu. Durante il viaggio, nel villaggio di Gwato, si fermò per entrare in altre storie. Era il tre di dicembre del 1823. Aveva solo quarantacinque anni.

Immagini tratte da:
egyptphotogallery.wordpress.com

Per il ritratto di Giovanni Battista Belzoni, vestito in foggia araba, in un’illustrazione tratta dal suo libro Narrative of the Operations and Recent Discoveries Within the Pyramids, Temples, Tombs and Excavations in Egypt and Nubia and of a Journey to the Coast of the Red Sea, in search of the ancient Berenice; and another to the Oasis of Jupiter Ammon Londra, John Murray, 1820 vedi: Giovanni Battista Belzoni su Wikipedia

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